Diritto Penale

La cooperazione nel delitto colposo

E-mail Stampa PDF
 
La disposizione di cui all’art. 113 c.p. disciplina l’istituto del concorso di persone nel reato colposo, che lo stesso Legislatore, al fine di differenziarlo dall’ipotesi di concorso personale nel reato doloso, definisce cooperazione colposa1.
Ai fini della configurabilità della cooperazione nel delitto colposo di cui all’art. 113 c.p. occorre che la condotta di ciascun concorrente si caratterizzi per la violazione della regola cautelare, non essendo possibile qualificare un comportamento come colposo in mancanza di un tale requisito, e per la presenza del legame psicologico tra le condotte2.

La ratio dell’introduzione dell’art. 113 c.p. è da far risalire all’intento del Legislatore del 1930 di risolvere autoritativamente la disputa dottrinale che allora si agitava intorno all’ammissibilità di una compartecipazione criminosa sul terreno del reato colposo: l’obiezione principale che in proposito veniva mossa, faceva leva sulla denuncia del contrasto tra il requisito del “previo accordo” (allora ritenuto elemento necessario del concorso) e il carattere “involontario” della colpa3. Una scelta politico-criminale improntata, dunque, ad un orientamento di tipo repressivo, sollecitato dalla preoccupazione di colmare le lacune di tutela che sarebbero conseguite all’eventuale prevalere della tesi asserente l’incompatibilità tra l’istituto del concorso e la responsabilità colposa.

Secondo l’orientamento dogmatico affermatosi della dottrina tradizionale, il discrimine tra cooperazione colposa e concorso di cause autonome viene segnato dall’esistenza o no di un legame psicologico tra i diversi soggetti agenti. Il legame psicologico che si istaura tra gli agenti è costituito dalla consapevolezza della condotta degli altri che riguarda, appunto, la sola partecipazione di altri soggetti e non il verificarsi dell’evento, vertendosi in tema di reato colposo4. A tale fine, inoltre, non è necessaria la conoscenza dell’identità dei partecipi e delle specifiche condotte di questi, essendo necessaria e sufficiente la coscienza dell’altrui partecipazione al contesto in cui si svolge la propria condotta ovvero, più specificamente, allorquando si verta in ipotesi di condotte che si svolgono nell’ambito di organizzazioni complesse, la coscienza che la trattazione della vicenda sottoposta alla propria attenzione non è soltanto a sé riservata perché anche altri soggetti ne sono o ne saranno investiti5.

Prima dell’entrata in vigore del codice attuale si sosteneva da vari autori che, nel caso di concorso di azioni colpose indipendenti, responsabile penalmente fosse soltanto la causa immediata, e cioè l’ultima persona che ha contribuito al risultato, mentre le altre (le cosiddette cause mediate) ne rispondevano solo civilmente. Questo ordine di idee non è più sostenibile sotto l’impero del codice Rocco, specialmente perché l’art. 41 c.p. stabilisce, tra l’altro, che il rapporto di causalità non è escluso dal concorso di una causa sopravvenuta consistente nel fatto illecito altrui. Ne deriva che nessuna distinzione ora può farsi tra le cause immediate e le cause mediate6.

La ripulsa del principio della irresponsabilità delle cause colpose mediate, tuttavia, non implica che gli autori di azioni colpose che hanno contribuito all’evento con il concorso di azioni successive ed autonome, del pari colpose, debbano sempre risponderne. Anche qui vale la limitazione generale che si desume dalla retta interpretazione degli artt. 40 e 41 c.p., per cui il nesso giuridico di causalità è escluso quando l’evento sia dovuto all’intervento di un fattore eccezionale. Tuttavia l’art. 114 c.p. disciplina la circostanza attenuante della partecipazione di minima importanza al reato, presupponendo un apporto differenziato nella preparazione o nell’esecuzione materiale del reato stesso7.

Per la concessione dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p. non è sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale dell’ ”iter” criminoso: ciò che si verifica allorquando la condotta del correo risulti tale da poter essere avulsa, senza apprezzabili conseguenze pratiche, dalla serie causale produttiva dell’evento8.

Tuttavia, non determinando la legge quando l’attività di un compartecipe possa dirsi di minima importanza, ai fini della concedibilità dell’attenuante prevista dall’art. 114 c.p., è rimessa al prudente apprezzamento del giudice la valutazione, in relazione a tutte le circostanze del caso concreto, del contributo causale dello stesso e, pertanto, non può formare oggetto di censura in sede di legittimità, poiché l’attenuante de qua è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito9.

 

1 Latagliata, voce Cooperazione nel delitto colposo, in Enc. Dir., X, Milano, 1962, 615; Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte generale, Zanichelli, 566;
2 Cass., Sez. VI, 14 maggio 2009, n. 20406;
3 Carrara, Grado nella forza fisica del delitto, in Opuscoli di diritto criminale, I, 1870, 502; Vannini, E’ ammissibile la partecipazione colposa al reato colposo?, in Riv. Pen., 1925, 33 ss.;
4 F. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte generale, Giuffrè, 552; F. Mantovani, Diritto penale, Cedam, 538;
5 Cass., Sez. IV, 16 gennaio 2009, n. 4107;
6 F. Antolisei, Manuale di diritto penale, Giuffrè, 1975;
7 Crespi, Stella, Zuccalà, Commentario al codice penale, voce art. 114, Cedam
8 Cass., Sez. IV, 12 gennaio 2006, n. 11380;
9 Latagliata, I principi del concorso di persone nel reato, p. 248;